A questo gennaio che sta per finire non so che dire.

Potrei raccontargli del piacere che ho provato camminando al freddo nelle sue diverse ore blu, o dei tramonti lucidi e bellissimi che ho visto dalla mia finestra, oppure della mia paura per questo senso di straniamento che spesso mi ruba le giornate e mi affatica.

Spesso mi sembra di vivere in apnea, o dietro un vetro, da cui osservo le cose come se fossero inesorabilmente distanti, lentissime.

Poi, in un attimo, il risveglio. Immagini e parole rapide percorrono l’aria e mi raggiungono come proiettili. Giorni, lavoro, persone, ricordi, dolori che non so dire, gioie rapide che sfuggono al controllo.

E si fanno mesi. E anni.

L’altro giorno guardavo la mia pagina su un noto social network, che uso ormai pochissimo. Gli ultimi post, soprattutto immagini, erano repliche di immagini del passato, ripostate, spesso più di una volta.

Come se esistesse solo il passato, in un presente immobile. Come se la vita fosse relegata in quei tramonti, alberi, riflessi nelle acque di un fiume in inverni gelidi, nebbie che avvolgevano rami stanchi ma vivi.

Vivi, sicuramente più di me.

Guardavo la mia pagina e percepivo, nelle parole sempre più rarefatte, nell’iper-riproduzione di vecchi post, il momento di rottura, lo scollamento dal mio io attivo e reattivo, l’inizio dell’apnea.

Non so dove abbia letto, ma spesso ritorna nella mia mente una frase che affermava che l’Impero Romano crollò un po’ alla volta e poi, solo alla fine, tutto insieme; ecco, mentre guardo il passato recente mi sembra di capire come la fatica di questi anni sia tutta lì, nell’atto di ricostruire, nell’agitare le braccia per riemergere.

E poi c’è questo gennaio che sta per finire e mi racconta del tempo, che non è mai solo uno. Osservo gli oggetti e le persone e mi perdo a pensare che sarebbe bello essere come loro, essere progettuale, produttiva.

Invece sto ferma. Non leggo, non scrivo, chiudo la porta alle parole, escludo gli spifferi. Lascio la notte fuori, per non vederla dentro.

Ci sono spine che è faticoso togliere. Ci sono tempi difficili da decifrare. Come certe cose, che si vedono bene solo quando ci si allontana.

O non si vedono mai.

Com’è la vita: triste ma bellissima, oppure bellissima ma triste? […] – La vita è necessaria e inevitabile – rispose.” J. Barnes, “Elizabeth Finch”, Einaudi, 2024.