Ci sono giorni in cui non mi fermo. Giorni in cui lavoro o penso così tanto alle incombenze del lavoro da dimenticarmi anche la bellezza di un libro o di una passeggiata.
A volte penso questo serva a dimenticarmi anche un po’ di me.
Resta il fatto che mi manco.
Ovvero, mi cerco e non sempre colpisco il bersaglio, sfuggo a me stessa come a un conoscente con cui non si ha nulla da dire.
Un po’ di giorni fa leggevo alcune informazioni riguardo a un fenomeno presente nel mondo vegetale, detto “timidezza delle chiome”.
Questo fenomeno, tipico di alcune varietà di piante, consiste nel lasciare uno spazio tra le chiome degli alberi vicini, in modo che le chiome non si tocchino.
Uno dei motivi di questa particolare attitudine delle piante è difensivo. Gli alberi non toccano le chiome vicine per non danneggiare la propria.
A me, invece, piace immaginarle come le persone. Vicine, spesso ammassate, riescono a non toccarsi, a non sfiorarsi mai nonostante l’apparente prossimità.
Siamo vicini ma indifferenti, come se la protezione della nostra “chioma” ideale fosse un modo per escludere l’altro.
A volte vorrei non dover portare con me questa chioma (che anche la parola “cometa” derivi da chioma riporta sempre tutto alle stelle, sedi del desiderio, sempre) che pesa come un macigno e starmi distante, abbandonarmi un po’.
Ora che è autunno e piove e tra poco inizierà novembre, sento di dover stringere le chiome ( e un po’ anche i denti) per poter affrontare la stagione più lunga.
Stanotte ho sognato che mio padre era morto. Il fatto che lo sia nella realtà sembra sempre poco rilevante in questi sogni, che ho continuato a ripetere in questo, ormai lungo, periodo di tempo.
Mio padre muore da anni nei miei sogni ed è sempre diverso, come se fosse l’unica cosa che possiamo fare, lui morire, io restare a guardare, da lontano.
Paradossalmente credo sia un modo per non dimenticarlo, ogni volta che la memoria sembra assopirsi.
Torna in sogno e stringe le chiome al di là di ogni timidezza e mi comunica la sua presenza, caduca come le foglie in questo autunno improvvisato.
Oggi, poi, passando in auto vicino a un suo lontano parente, mi è sembrato di vederlo vivo in lui. Lì, sotto la pioggia, la stessa camminata, la stessa schiena.
Che cosa strana, le coincidenze.
A volte sono stanca, a volte, come stamattina, trovo nelle parole e nella loro bellezza una possibilità di fuga e mi ricordo.
Mi ricordo di me, delle chiome, degli alberi che quando comunicano lo fanno con le radici.
Le radici, già. Che cosa bella e profonda.
Forse l’unica vera.