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Parole senza rimedi

~ Manuela. Una col vizio di scrivere

Parole senza rimedi

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La moneta.

26 lunedì Ott 2015

Posted by mallarmeana.mb in Me in frammenti, ovvero facete, riflessioni riflesse

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me in poche parole, nipoti, vita

Ieri ero vicina a mia nipote in una chiesa fredda e poco gremita.

Mi sono vestita poco, come accade spesso, e tremavo all’interno dell’edificio, illuminato male dalle luci al neon.

C’era una delle tante funzioni che mia mamma tiene a mente come un almanacco, come se fossero una cosa di vitale importanza per la vita di tutti, come se potessero riportare indietro mio padre, per quei quaranta minuti scarsi. Eh.

Ero vicina a mia nipote, dicevo, la più piccola, ancora per pochi mesi, e si avvicinava il momento delle offerte.

“Una moneta”, si gira verso mia sorella, che prontamente le consegna il bottino.

Mia nipote rigira questa moneta nella mano, mi guarda e, con aria di sfida mi dice “quasi quasi me la tengo”.

Mia sorella le fa due occhiacci. Alla fine la moneta cade nel cestino.

“Le danno ai poveri”, le spiega la mamma, con una voce calda e sibilante.

“Non è vero! Se le tengono loro!” Ha protestato la bambina con occhi spalancati.

Io sono rimasta in silenzio.

Guardavo mia nipote così lucida e serena e bellissima e ho rimpianto tutta la verità che non so e non sono capace di dire.

Faceva freddo. Ho salutato.

Fuori la sera era una nuvola rosa e nera, come nei disegni dei bambini.

Ho respirato l’odore di fumo e legna dei camini. Era quasi bello.

Levia Gravia. (Ma Carducci c’entra poco).

28 lunedì Ott 2013

Posted by mallarmeana.mb in ovvero facete, riflessioni riflesse, Semiserie, Tristissima copia

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Levia gravia

382-2

Anni fa, in un ufficio del Dipartimento di Scienze Letterarie e Filosofiche dell’Università di Torino, il mio relatore della tesi, esimio professore di Letteratura Italiana, prese da uno scaffale della libreria la rivista del dipartimento che aveva (ed ha, non so se esista ancora) come titolo il carducciano “Levia gravia” e mi disse di quanto si sentisse oramai parte delle “Gravia”. Auspicava un ricambio generazionale, annoverandomi come soggetto di quelle “Levia” che potevano cambiare le cose.

(Che le cose non le abbia cambiate io, ormai è Storia.)

Avevo vent’anni e questa faccenda di essere atomo delle “Levia”, leggera particella nel mondo, mi entusiasmava.

Non so perchè ne parli ora, che sono passati tanti autunni da quel giorno. Forse perchè in questo pomeriggio arancione di fine ottobre rifletto che, in fondo, non ho ancora capito bene da che parte stare.

Da allora, infatti, mi è parso di correre in eterno bilico tra levia e gravia, tra le cose lievi e quelle pesantissime, tra un soffio e un macigno.

Melodrammatica nelle cose lievi, lieve nelle situazioni drammatiche, forse non ho ancora trovato la chiave per decodificare le situazioni. Mi manca sempre un tassello, nel disordine dei numeri e dei volti che non ho la forza, o il coraggio, di trovare.

(Ho saputo, anni dopo, che per la rivista mancavano i fondi.)

Il mio professore è morto da anni e io ancora mi chiedo cosa volesse dirmi.

Ma io non ho mai capito niente.

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